La danza fa parte del prezioso patrimonio artistico e culturale della Birmania (Myanmar), uno dei più interessanti Paesi partecipanti al Festival dell’Oriente (Milano, 25-28 aprile). La danza birmana nasce con la venerazione dei Nat (spiriti), ed ha quindi radici pre-buddhiste. Una delle più importanti e spettacolari forme di danza tradizionale è il Sut Manau, danza della prosperità. Ma la religiosità domina anche nelle danze legate al buddhismo. La Birmania rappresenta uno dei luoghi più coinvolgenti dell’Oriente, da Yangon a Mandalay...
di Livia Rocco
La danza fa parte del prezioso patrimonio artistico e culturale della Birmania (Myanmar), uno dei più interessanti Paesi partecipanti al Festival dell’Oriente (Milano, 25-28 aprile). Era mediante la danza che il popolo birmano venerava i Nat, gli spiriti che in questo affascinante, complesso e travagliato Paese sembrano essere sopravvissuti al buddhismo, con il quale oggi convivono, anche nel ballo. Nell’insieme la danza è energica e richiede alcuni movimenti acrobatici molto complessi, ma ogni etnia della Birmania (che è una unione di stati e regioni) ha le proprie tradizioni ed i propri costumi. I Kachin sono uno dei numerosi gruppi etnici del Paese.
La danza della prosperità dei Kachin
Ogni anno a Myitkyina, nel nord della Birmania, si tiene il Sut Manau: in un arcobaleno di colori le etnie Kachin si uniscono nella danza della prosperità. Un ringraziamento e una richiesta alle divinità di maggior fortuna. E’ anche la celebrazione delle azioni filantropiche dei Duwagyi, grandi capi clan, che sponsorizzano il Festival delle razze per lo sviluppo dello stato Kachin. Il luogo del Festival viene preparato e decorato con dodici pali, che vengono fissati al centro della scena, intorno a cui si muoveranno i danzatori.
Molti i simboli inseriti in questa grande festa della danza; i pali che finiscono con la punta arrotondata simbolizzano le colonne maschio, Dung La, che rappresentano lo Shata Nat, spirito luna, che infatti è disegnata sulla loro base. Le colonne femminili, Dung Yi, la cui punta ricorda quella del coltello tradizionale, rappresentano Jan Nat, lo spirito sole, dipinto anch’esso alla base. I due coltelli incrociati simbolizzano la protezione dai nemici e dagli animali. Nel raggio di 5 chilometri il rimbombo del Chying, l’enorme tamburo fatto con pelle di bufalo, rincorre il suono metallico del Bau, grande gong simile al canto di un uccello del luogo, e quello acuto del flauto per invitare tutti a partecipare alla festa. Due capi con cappelli ornati da lunghi becchi di tucano, piume di pavone e zanne di cinghiale, guidano due gruppi di danzatori che, indossando i costumi cerimoniali dei vari clan, seguono ogni passo e ogni cambio di ritmo dei due leaders. Le due colonne di danzatori si incrociano come in uno scambio di convenevoli per poi formare un cerchio che gira ossessivamente intorno ai pali, per allontanarsi e poi avvicinarsi nuovamente, sempre seguendo il ritmo ripetitivo degli strumenti e seguendo l’intricato disegno dei pali, diverso per ogni ‘Manau’. Chiunque si può aggiungere al cerchio, in qualsiasi momento, in un ritmo crescente di partecipazione. Il N’Htu, l’arma che gli uomini impugnano durante la danza, ha un significato importante nella cultura kachin e nei vari ‘manau festival’ (festival di danza), dato che è considerato praticamente l’unico e indispensabile strumento per la vita quotidiana. Serve per pulire il terreno da coltivare, intagliare i tronchi per costruire case e utensili e viene scambiato come “testimone” nelle cerimonie di fidanzamento. E’ anche l’arma usata dai nazionalisti in rivolta contro il dominio coloniale. La danza, non più di 8 o 9 movimenti continuamente ripetuti, può durare da 1 a 3 ore fino a una settimana.
La danza delle Candele dei Rakhine
Appartiene invece all’etnia Rakhine la danza delle Candele, o meglio “La Danza dell’offerta delle lampade ad olio a Buddha”. Questa danza tradizionale è ovviamente legata a un’altra religione, che è poi quella ufficialmente più diffusa in Myanmar: il buddhismo. Le ballerine eseguono dolcemente dei movimenti in maniera tale da offrire le lampade ad olio a Buddha, sollevandole con i loro palmi. La danza é accompagnata da una canzone religiosa Rakhine eseguita con strumenti musicali tradizionali di questa etnia.
Lo stile della Marionetta
Il teatro delle marionette rappresenta un altro caratteristico aspetto della cultura birmana, anch’esso legato alla religione buddhista e ai suoi insegnamenti morali. Gli attori-ballerini erano ritenuti impuri per interpretare i personaggi delle reincarnazioni di Buddha; per questo l’arte dei marionettisti ha raggiunto livelli di virtuosismo. Successivamente quest’arte ha dettato le tecniche e gli standard estetici dei ballerini dal vivo. Ancora oggi le danze in stile marionette sono molto diffuse; i ballerini si esibiscono spesso seduti o accovacciati sul pavimento, con movimenti sconnessi e spezzati. Le marionette hanno influenzato anche il modo di cadere dei ballerini, che ricorda il taglio dei fili delle marionette. Infine l’espressione facciale dei ballerini richiama quella delle marionette, con un sorriso simile a quello di un pupazzo.
La tecnica contemporanea
Il primo istituto di danza in Birmania fu fondato nel 1953, con l’intento di ricreare per le nuove scuole la danza classica tradizionale. Da qui nacquero i 22 movimenti base della danza (gabyar-lut) su cui si basa il balletto classico birmano, ancora utilizzati nell’educazione dei ballerini.
Nel primo movimento base, le ginocchia sono piegate in una posizione quasi accovacciata. I passi eseguiti con le gambe ricordano quelli di danze indiane, ma in Birmania il piede tocca delicatamente il pavimento, a volte calciando il lungo strascico del vestito. Anche le mani richiamano gesti da origini indiane, e sono accompagnate dai movimenti del collo e degli occhi che seguono il ritmo della musica.
Le meraviglie della Birmania: pagode, stupa, sculture buddiste e… non solo
La Birmania (Myanmar secondo l’attuale denominazione) rappresenta uno dei luoghi più coinvolgenti dell’Oriente. I regimi militari che si sono succeduti al governo del Paese hanno seguito una politica di stretto isolazionismo fino alla metà degli anni 90, e per questo il Myanmar appare al viaggiatore quasi come fosse fermo a 100-150 anni fa. Solo oggi, limitatamente alle due maggiori città, Yangon e Mandalay, si comincia a vedere l’effetto dell’apertura a capitali stranieri, soprattutto cinesi. Aung San Suu Kyi, leader del processo di democratizzazione del Paese e Nobel per la pace che negli anni della dittatura militare aveva chiesto ai turisti di non visitare la Birmania per non alimentare l’economia del regime, dalla sua liberazione nel 2010 dopo 15 anni di arresti domiciliari, incoraggia in Myanmar un turismo responsabile, che tenga conto dell'ambiente sociale ed economico del Paese.
Anche se Yangon - capitale e unico accesso aereo al Paese - si sta progressivamente modernizzando, a lasciare senza fiato il viaggiatore sono i suoi monumenti senza tempo, come il Buddha dormiente lungo 55 metri e la Pagoda Shwedagon . La grande pagoda d’oro, dalla cupola alta quasi 100 metri, è uno dei luoghi più sacri della nazione: secondo la leggenda, custodisce otto capelli dorati del Buddha. E’ il luogo più sacro per i birmani, che sperano almeno una volta di visitare questa cittadella sacra, densa di piccoli stupa (monumenti buddhisti che custodiscono reliquie) e tempietti, lungo i 450 metri di circonferenza della pagoda, con il suo pinnacolo incastonato di diamanti.
Ma per respirare appieno la religiosità di questo straordinario Paese, bisogna vedere Mandalay e le antiche capitali: Ava (o Inwa), Amarapura con il ponte in tek più lungo al mondo, e Sagaing. Da Mandalay è possibile risalire il fiume Irrawaddy e visitare Mingun, con la sua Pagoda incompiuta più grande al mondo, e la Campana appesa più grande del mondo. A Mingun si trova un altro piccolo gioiello, la Pagoda Bianca, fatta costruire da un re in memoria della sua sposa.
A Mandalay non bisogna mancare la visita alla Pagoda Maha Muni, un altro dei luoghi santi del buddismo birmano. La statua di Budda qui venerata è considerata molto antica; secondo una leggenda è stata realizzata addirittura durante la vita del Buddha stesso ed è quindi l’unica al mondo a riprodurne le fattezze.
Da Mandalay, scendendo in battello lungo l’Irawaddy, si raggiunge uno dei luoghi più fantastici di tutto il sudest asiatico: il sito archeologico di Bagan (o Pagan). Su una superficie di circa 40 kmq, lungo la riva sinistra del fiume, si osservano a perdita d’occhio centinaia e centinaia di stupa e di templi che risalgono a circa 1000 anni fa. La maggior parte è realizzata in mattoni rossi, alcuni hanno cupole rivestite d’oro come la Pagoda Shwezigon, altri ancora si distinguono per la bellezza architettonica come il Tempio di Ananda. La credenza popolare vuole che il Monte Popa, nei pressi di Nyang-u - la cittadina alle porte del fantastico sito archeologico - sia la sede dei 37 Nat. Molti birmani vi si recano in pellegrinaggio percorrendo il sentiero che li separa dalla cima della montagna in religioso silenzio ed indossando abiti che non siano di colore nero, ritenuto offensivo per i Nat. Agli Spiriti vengono fatte offerte generose per evitare di essere colpiti dalla loro ira.