Il regista Ron Howard ha realizzato un film imperdibile per chi ama i Beatles, grazie a materiale audio e video di buona qualità, in parte inedito e in parte restaurato, arricchito dalle testimonianze dirette degli ex membri del gruppo – i superstiti Paul McCartney e Ringo Starr, ma anche George Harrison - e da interviste e commenti di amici e fans dell’epoca, famosi e non. Gli esordi e il successo senza precedenti dei quattro musicisti di Liverpool sono raccontati con maestria, creando nel pubblico un coinvolgimento superiore alle aspettative
di Livia Rocco
Lacrime agli occhi, battiti accelerati, calore: sintomi che accompagnano i ‘fans’ (ma forse la parola è riduttiva) durante tutta la visione del film The Beatles – Eight days a week, nelle sale italiane per una settimana, dal 15 al 21 settembre. Abbinato al film, il concerto dei Fab Fours allo Shea Stadium di New York nel 1965, al culmine della ‘beatlemania’. Alla fine della proiezione, inevitabile l’applauso commosso e la profonda gratitudine per Ron Howard, il regista che, con questo prezioso film di montaggio, è riuscito magicamente a far rivivere la storia dei Quattro di Liverpool; è quasi come essere presenti, partecipando ai loro viaggi forsennati, ai concerti con la musica coperta dalle urla del pubblico impazzito (perfino in Giappone!), al clima di amicizia, condivisione e complicità dei primi anni del gruppo.
Immagini e filmati anche inediti, interviste a protagonisti e spettatori celebri, tra cui quella emozionante all’attrice Whoopi Goldberg , che da bambina (povera) fu condotta al concerto dei Beatles da sua madre, a sorpresa. Materiale video restaurato, audio ripulito e digitalizzato, per raccontare i primi anni dei Beatles, quelli delle esibizioni dal vivo - dal 1962 e al 1966 - in questo film-documentario realizzato in collaborazione con Apple corps, Paul McCartney, Ringo Starr e gli eredi di John Lennon e George Harrison.
Il film mette in luce con freschezza, senza forzature e retorica, gli aspetti salienti e i caratteri distintivi di una vicenda artistica irripetibile, e anche di una carriera fulminante e ben gestita grazie a personaggi chiave come Brian Epstein, l’impresario che ha scoperto e lanciato i Beatles, e George Martin, il produttore dei loro dischi: tutti e due insolitamente molto presenti nel documentario.
Tra i punti di forza di questo lavoro cinematografico c’è l’aver saputo catturare la spontaneità spesso ironica o autoironica dei giovani Paul, George, Ringo e John nelle risposte alle domande dei giornalisti dell’epoca, con quel misto di innocenza e arguzia che caratterizza molte loro battute. Un esempio tra i tanti: “Cosa resterà dei Beatles nella cultura occidentale?” “Cultura? Mi prende in giro? Questa non è cultura, sono solo quattro risate”.
In effetti si sono divertiti parecchio, come raccontano loro stessi e come il film mette bene in evidenza, finchè la pressione non è diventata eccessiva, ai limiti del rischio, e allora il piacere di cantare e suonare insieme si è spostato negli studi di registrazione, molto più tranquilli, dove sono nati capolavori come ‘Sgt. Peppers lonely hearts club band’, considerato dalla critica tra i migliori album di tutti i tempi.
Altro merito del film è l’inserimento nella storia e nel clima dell’epoca; una contestualizzazione tutt’altro che didascalica e noiosa, che viene direttamente dalle voci dei protagonisti, con fatti significativi che rimangono impressi. In evidenza, per esempio, l’episodio del concerto a Jacksonville, in Florida, quando i Beatles rifutarono di esibirsi davanti a un pubblico diviso tra bianchi e neri. La testimonianza di una donna afroamericana che assistè al concerto fa ricordare che negli Stati Uniti dei famigerati anni Sessanta esisteva ancora la segregazione razziale! “Nella mia città fu la prima volta che bianchi e neri assistevano a uno spettacolo insieme – afferma la spettatrice, allora giovanissima - e io mi godevo pienamente questa sensazione nuova e meravigliosa: tutti alla pari di fronte ai Beatles e grazie ai Beatles!”